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Categoria: Centro Studi Confindustria

  • Il Rapporto Regionale PMI 2023 – Confindustria e Cerved in collaborazione con UniCredit

    Il Rapporto Regionale PMI 2023 – Confindustria e Cerved in collaborazione con UniCredit

    RAPPORTO REGIONALE PMI 2023 – Sintesi Stampa

    CONFINDUSTRIA-CERVED: LE PMI REGGONO AGLI SHOCK, PUR CON SEGNALI DI RALLENTAMENTO. PNRR FONDAMENTALE PER LA RIPRESA
    In crescita nel 2022 fatturato e valore aggiunto, pesa l’aumento del costo del debito

     

    In allegato alcuni dati relativi all’Emilia-Romagna
     

    Il Rapporto Regionale PMI 2023, realizzato da Confindustria e Cerved in collaborazione con UniCredit, approfondisce la struttura e l’evoluzione dello stato di salute delle piccole e medie imprese italiane da una prospettiva territoriale. Il rapporto analizza i conti economici delle circa 160mila PMI italiane, basandosi sui dati di consuntivo del bilancio 2021 e offrendo stime per il 2022, attraverso i modelli predittivi economico-finanziari di Cerved.

    I dati mettono in evidenza i diversi impatti sui sistemi di PMI territoriali degli shock sequenziali che negli ultimi anni hanno colpito il nostro sistema economico. Sul fronte dei conti economici si stima una sostanziale tenuta di fatturato (+2,4%), valore aggiunto (+1,4%) e MOL (+2,9%), che recuperano i livelli del 2019 (rispettivamente +9,1%, +8,7% e +14,9%).. Questi indicatori sono accompagnati da evidenze meno incoraggianti, che suggeriscono una possibile inversione di tendenza nel prossimo biennio. I segnali di rallentamento sono più significativi nelle zone del Centro-Sud e lasciano ipotizzare un incremento del divario strutturale tra sistema produttivo settentrionale e meridionale.

    I primi effetti dell’inflazione e dell’aumento del costo del debito fanno contrarre la redditività netta e gli utili delle PMI. Nel 2022 si stima infatti un calo del ROE dello 0,6% (dal 12% all’11,4%). La riduzione della redditività è più marcata nel Centro (dall’11,4% del 2021 al 10,4% del 2022) e nel Mezzogiorno (dal 13% del 2021 al 12,2% del 2022), con il Nord-Est e il Nord-Ovest che soffrono di meno (dal 12,5% del 2021 al 12,1% del 2022 per il Nord-Est e dall’11,5% all’11,1% per il Nord-Ovest). In parallelo, la quota di PMI in perdita passa dal 12,2% del 2021 al 27,9% del 2022, con effetti più significativi nel Centro (+16,4%; dal 13,4% al 29,8%).

    Il peggioramento della congiuntura genera impatti anche sulle abitudini di pagamento delle PMI: i mancati pagamenti sono attesi in rialzo del 4,3% a livello nazionale (sono il 29,4% delle fatture nel dicembre 2022 contro il 25,1% del dicembre 2021). I valori più elevati si toccano tuttavia nel Mezzogiorno (39,6%; +5,8% su base annuale) e nel Centro (32%; +2,9% sull’anno). Più contenuti i mancati pagamenti nel Nord-Est (22,7%; +3,5%) e nel Nord-Ovest (27,2%, +4,6% sull’anno). Segnali di un’inversione di tendenza si intravedono anche tra gli indicatori di stabilità finanziaria.

    Il rapporto monitora, inoltre, l’evoluzione dell’uscita dal mercato delle PMI. Le stime del 2022 confermano la prosecuzione del congelamento delle chiusure che si osserva dal 2019; i fallimenti calano del 34,7% su base annua (661 nel 2022 vs 1013 nel 2021) e le procedure non fallimentari del 49,4% (da 330 nel 2021 a 167 nel 2022). Il calo dei fallimenti è particolarmente marcato nel Mezzogiorno (-45,2%, da 230 a 126) e nel Nord-Ovest (-42,2% da 341 a 197), mentre le procedure non fallimentari si riducono particolarmente nel Nord-Est (-60,2%) e nel Centro (-55,3%).

    Il Rapporto viene presentato in un momento complicato per le PMI italiane: il persistere dell’inflazione ben oltre i propri obiettivi di mandato sta spingendo la BCE a un continuo e deciso rialzo dei tassi, che si ripercuote sul costo dei finanziamenti alle imprese e, indirettamente, sul credito richiesto e su quello concesso, così come sugli investimenti. Dopo quasi otto anni di tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali inferiori o pari a 0,25 punti, in un anno (da luglio 2022) si sono raggiunti oggi 4,00 punti. I processi di ristrutturazione aziendale degli ultimi dieci anni, ancorché incompleti e differenziati tra settori e territori, avevano reso più solido il tessuto produttivo italiano. La crisi che ha caratterizzato – ed è seguita – ai periodi di lockdown ha però fatto fare alle imprese un passo indietro di 4 anni nel processo di rafforzamento dei bilanci osservato nei 10 anni pre-pandemia. Questo ha riguardato in particolare le PMI.

    A fronte di queste difficoltà, aumentano anche le sfide per il futuro. La duplice transizione, ormai ineludibile, richiede ingenti investimenti a tutti i livelli della filiera, così come competenze adeguate agli obiettivi. Tanto il mercato quanto regole sempre più stringenti impongono anche alle PMI un cambio nei propri processi, che a loro volta richiede più managerializzazione, più formazione e più investimenti.

    In questo contesto, per aiutare le imprese a crescere è necessario un disegno di politica economica e industriale coerente e di medio-lungo periodo, che agisca in primis correggendo le criticità strutturali con cui devono fare i conti le PMI e mediante incentivi mirati che risolvano o attutiscano i principali deficit.

    Per raggiungere questi obiettivi e superare le criticità che frenano la competitività delle imprese, il PNRR è un’opportunità storica. La prima azione che il PNRR deve sostenere è l’implementazione delle riforme: del lavoro, che includa le politiche attive; del sistema scolastico, del sistema giudiziario e del fisco. Oltre alle riforme, il PNRR gioca un ruolo centrale per la realizzazione degli investimenti a sostegno della competitività, non solo del sistema imprenditoriale, ma di tutto il territorio. Sia riforme che investimenti hanno ora bisogno di una decisa spinta verso l’attuazione. Sul fronte degli investimenti, oltre ai ritardi strutturali, si registra una situazione di incertezza, legata soprattutto al tema delle “rimodulazioni”.

    La prima occasione di aggiornamento del Piano è rappresentata da REPowerEu. La priorità dovrebbe essere focalizzata su interventi da attuare con strumenti automatici, che possano, da un lato, sostenere le imprese ad affrontare i costi della trasformazione green e, dall’altro lato, favorire le condizioni di contesto a supporto di questo processo, tra cui gli investimenti nel digitale e sulle competenze necessarie in quest’ottica.

    Quanto alla digitalizzazione, è necessaria una revisione e un potenziamento degli strumenti a supporto della trasformazione digitale delle imprese, tenendo conto dei mutati obiettivi in ottica di Industria 5.0 e facendo tesoro dell’esperienza dei piani relativi al 4.0. Inoltre, per le PMI rimane di fondamentale valore il cosiddetto “network dell’innovazione 4.0”, composto da Competence center e Digital Innovation Hub, capaci di affiancare le imprese di minori dimensioni nell’analisi dei loro bisogni e nell’individuazione e applicazione delle tecnologie digitali più adatte.

    Un’altra linea di azione attiene agli ambiti della ricerca e dell’innovazione. Le PMI affrontano sfide significative quando si tratta di sostenere i costi delle attività di ricerca e sviluppo. D’altro canto, grazie alla loro struttura flessibile, sono in grado di assorbire più facilmente le innovazioni di processo e di prodotto, anche se queste sono state sviluppate altrove. In tal senso, è particolarmente apprezzabile il “credito d’imposta per investimenti in ricerca e sviluppo”, incentivo nazionale che prevede una maggiorazione per le imprese localizzate al Sud.  

    Sotto il profilo finanziario, il rialzo dei tassi di interesse sta oggi determinando una riduzione della domanda di prestiti da parte delle imprese e condizioni di accesso al credito decisamente più restrittive. Questo crea una serie tensioni finanziarie sulle imprese, che hanno contratto finanziamenti a tasso variabile e si sono indebitate per far fronte alla crisi degli ultimi tre anni. In tale contesto, è necessario intervenire per assicurare la sostenibilità del debito in essere delle imprese, favorendo operazioni di rinegoziazione e allungamento dei finanziamenti, incluse moratorie. A tal fine, sono tuttavia necessarie modifiche alle regole bancarie europee (in particolare della definizione di default), che scoraggiano tali operazioni. Occorre poi rivedere le regole temporanee europee sugli aiuti per consentire un allungamento della durata dei finanziamenti garantiti dallo Stato, sia in essere sia nuovi.

    Vanno poi rafforzate le garanzie pubbliche. In particolare, per quanto riguarda il Fondo di Garanzia per le PMI, occorre intervenire per prevedere la gratuità di accesso per tutte le operazioni finanziarie, elevare le coperture di garanzia e innalzare l’importo massimo garantito. Le condizioni del credito in peggioramento rafforzano la necessità per le PMI di ricorrere maggiormente a strumenti di finanza alternativa, aprendo il proprio capitale a investitori esterni. Per questo, serve un set integrato di misure, in grado di raggiungere le diverse tipologie e classi dimensionali di imprese e di attivare sempre più il risparmio privato. Per farlo, è necessario che le imprese sviluppino maggiori capacità di comunicare al mercato e una governance adeguata, cui è possibile tendere, anche in questo caso, rafforzando il proprio livello di managerializzazione.

    Infine, la revisione del sistema nazionale degli incentivi, avviata dal Governo, è condivisibile nella sua ratio di fondo: reimpostare il sistema utilizzando pochi strumenti e semplici, facendo leva quegli schemi agevolativi che, nella pratica, hanno già dimostrato di funzionare in maniera efficace (es. Fondo di Garanzia per le PMI, Nuova Sabatini, FRI), adattandoli, anche con il supporto delle Regioni, alle diverse e specifiche strategie ed esigenze.

     

    Dichiarazione Giovanni Baroni, presidente Piccola Industria e vice presidente di Confindustria e past President Piccola Industria Confindustria Emilia-Romagna
    “La dimensione media delle PMI italiane sta crescendo, segno del rafforzamento patrimoniale di questi anni e, in generale, degli investimenti effettuati per aumentare la competitività. Ma come emerge dal Rapporto Regionale PMI 2023 presentato oggi, seppure la pandemia ha riportato le lancette indietro di quattro anni, la direzione di marcia delle nostre imprese è sempre la stessa, non si sono fermate. Di fronte alle peggiorate condizioni del credito, il supporto di cui abbiamo bisogno è finalizzato, infatti, ad investire con ancor più decisione nella duplice transizione, green e digitale, e sulle competenze interne all’azienda. Sono richieste che arrivano dal mercato e dai regolatori e che ritroviamo lungo tutte le filiere. E per le PMI rappresentano condizioni imprescindibili per poter continuare a essere fornitori strategici dei campioni nazionali e internazionali. Non ultimo, produttività, nuove tecnologie e sostenibilità saranno anche driver determinanti per mitigare l’impatto della curva demografica, che sempre di più – almeno nel medio periodo – sembra condannare l’Italia”.

    Dichiarazione di Emanuele Orsini, vice presidente di Confindustria per il Credito, la Finanza e il Fisco 
    “Siamo molto preoccupati dell’andamento dei tassi d’interesse, soprattutto alla luce dell’annuncio fatto ieri da Christine Lagarde su un nuovo aumento dei tassi a luglio. Il credito è divenuto repentinamente molto più caro. A giugno il costo del denaro è arrivato al 4% e sta spiazzando la domanda delle imprese, come emerge chiaramente anche dal Rapporto Regionale PMI presentato oggi. La questione è seria. Si tratta forse della principale preoccupazione delle imprese in questo momento. L’aumento dei tassi rende più tesa la loro situazione finanziaria, in un momento in cui escono già fortemente indebitate dalla crisi pandemica e da quelle generate dal caro energia e dal conflitto russo-ucraino. L’effetto è che viene a mancare un sostegno a produzione e investimenti. Sostegno che è invece essenziale per consentire alle imprese di affrontare le sfide della transizione sostenibile e digitale in atto. Una parte delle risorse potrà venire dal PNRR, che potrebbe essere appositamente rimodulato; non dobbiamo dimenticarci che è stato disegnato nel 2020. Resterà comunque un funding gap importante e il ruolo del settore finanziario sarà determinante nel sostenere la transizione delle imprese verso la sostenibilità e più in generale nell’accompagnarle verso una piena consapevolezza e l’integrazione dei principi ESG nelle loro strategie”.

     

     

  • CONGIUNTURA FLASH CONFINDUSTRIA |   26 giugno 2023

    CONGIUNTURA FLASH CONFINDUSTRIA | 26 giugno 2023

     

    In aumento i segnali di indebolimento dell’economia italiana, soprattutto nell’industria.

    La crescita è più fragile, con il lento calo dell’inflazione e il credito più caro.

    I servizi sono meno dinamici, le costruzioni reggono, ma l’industria perde terreno.

    Nei consumi delle famiglie italiane ci sono meno beni, in particolare alimentari, e più servizi.

    Gli investimenti sono deboli e la domanda estera è in calo per i beni.

    Segnali di rallentamento nell’Eurozona, negli USA un brusco stop dell’industria, mentre la ripartenza in Cina è sotto le attese.
     
     

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  • Nota dal CSC – Salari e produttività del lavoro nel manifatturiero italiano

    Nota dal CSC – Salari e produttività del lavoro nel manifatturiero italiano

    Nota dal CSC – Salari e produttività del lavoro nel manifatturiero italiano

     

    11 giugno 2023  –  Tra il 2000 e il 2020 nel manifatturiero italiano i salari reali sono cresciuti del 24,3%, pressoché in linea con produttività del lavoro (22,6%). La crescita dei salari reali è stata simile in Francia e superiore a Germania e Spagna dove la produttività del lavoro è cresciuta molto più che in Italia.

    Ciò implica una netta perdita di competitività per il nostro manifatturiero, ma anche l’erosione della quota di valore aggiunto che va a remunerazione del capitale (il rapporto margine operativo lordo e valore aggiunto nel manifatturiero è sotto quello medio nell’Eurozona dal 2004).

    Nel biennio 2021-2022 l’aumento dei prezzi ha eroso i salari reali mentre la produttività ha tenuto. Nei prossimi anni i salari recupereranno potere d’acquisto in virtù del meccanismo contrattuale. Nello stesso periodo, i margini di profitto in altri paesi dell’Area euro sono cresciuti, mentre in Italia hanno registrato una contrazione.

     

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  • CONGIUNTURA FLASH CSC |  23 maggio 2023

    CONGIUNTURA FLASH CSC | 23 maggio 2023

     

    La crescita dell’Italia prosegue nel 2° trimestre ma a ritmi più moderati, trainata dai servizi, mentre l’industria resiste.

    L’inflazione è persistente come previsto, i tassi di interesse salgono e i prestiti diminuiscono.

    Segnali misti per i consumi, mentre gli investimenti crescono anche se poco. Le risorse a disposizione delle imprese manifatturiere per fare investimenti non sono molte visti anche i margini operativi compressi.

    Si registra debolezza nell’Eurozona, negli USA riparte l’industria, frena la Cina, cresce l’India.

     

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  • RAPPORTO DELL’OSSERVATORIO IMPRESE ESTERE – CONFINDUSTRIA E LUISS

    RAPPORTO DELL’OSSERVATORIO IMPRESE ESTERE – CONFINDUSTRIA E LUISS

     

    RAPPORTO DELL’OSSERVATORIO IMPRESE ESTERECONFINDUSTRIA E LUISS
    Tra il 2019 e il 2022 le multinazionali sono rimaste in Italia a presidio delle filiere internazionali

     

    5 maggio 2023 Sono 15.631 le imprese a controllo estero attive in Italia e forniscono un contributo significativo all’economia nazionale, rappresentando dei partner strategici per la crescita della competitività del paese: impiegano l’8,8% degli addetti, realizzano il 19,0% del fatturato, il 16,5% del valore aggiunto e il 26,8% della spesa in ricerca e sviluppo, il 32,3% dell’export e il 50,3% dell’import di merci.

    Sono i numeri del Terzo Rapporto realizzato dall’Osservatorio Imprese Estere di Confindustria e Luiss, “Le imprese estere in Italia: tra segnali di ripresa e nuovi rischi globali”, presentato il 5 maggio in occasione del primo Annual Meeting dell’Advisory Board Investitori Esteri (ABIE) di Confindustria, dal titolo “Le imprese globali e il mondo che verrà”. Il Rapporto, oltre ad aggiornare i dati sulle caratteristiche delle multinazionali nel contesto del sistema produttivo italiano, analizza il contributo di queste realtà all’export, alle filiere di riferimento e ai territori in cui operano, alla luce della “doppia crisi” generata da Covid-19 e all’effetto combinato dell’ondata inflazionistica e delle tensioni geo-politiche.

    Dal Rapporto emerge che le imprese estere che hanno investito in Italia mostrano una minor propensione a disinvestire tra il 2019 e il 2022 rispetto a quanto succede negli altri mercati globali, preferendo restare nel Paese con un presidio per lo più a valle delle filiere internazionali.

    La riorganizzazione delle filiere intra-gruppo al di fuori dei confini nazionali mostra come sia stata avviata una tendenza alla semplificazione, con filiere relativamente più corte e maggiormente differenziate geograficamente e infatti alcune proiezioni segnalano che, nonostante l’Italia sia stata colpita in modo importante dalla pandemia, non ci sia l’intenzione di dismettere le affiliate in Italia da parte degli head quarters.

    Il Rapporto attesta che rispetto al 2021 le imprese a controllo estero in Italia nel 2022 hanno registrato una crescita del 21% delle esportazioni verso i Paesi esteri, che corrisponde all’incremento più alto in rapporto a tutte le altre tipologie di imprese che operano nel Paese.

    “Le imprese a capitale estero sono determinanti per la crescita del nostro paese e i lavori dell’Osservatorio consentono di individuarne con chiarezza le ragioni. La proposta che portiamo al Governo è di organizzare annualmente un incontro con i CEO globali, come avviene già in tanti altri paesi nostri competitor, per attrarre e pianificare gli investimenti strategici del prossimo futuro. Noi siamo disponibili da subito ad attivarci e collaborare all’organizzazione dell’iniziativa”, ha dichiarato la Vice Presidente per l’Internazionalizzazione di Confindustria e presidente di ABIE, Barbara Beltrame Giacomello.

    “Il Rapporto dell’Osservatorio sulle imprese estere in Italia ci offre un quadro davvero interessante del fenomeno confermando la sua vitale importanza per la crescita dell’economia nazionale. Ricercare, classificare, approfondire gli aspetti che più e meglio possono contribuire a creare connessioni e collaborazioni tra aziende e sistemi industriali è un compito sfidante per una Università come la Luiss sempre più impegnata ad affermare il suo ruolo strategico di hub di formazione euromediterranea”, ha detto il Presidente Luiss Vincenzo Boccia.

    “I dati del Rapporto confermano che le imprese italiane a controllo estero svolgono un ruolo sempre più cruciale per lo sviluppo dell’economia del nostro Paese. Per fornire una fotografia del comparto, nel 2020 le 15.631 imprese a controllo estero presenti in Italia hanno generato un fatturato di quasi 548 miliardi di euro e un valore aggiunto di circa 122 miliardi di euro. Nell’ultima edizione del rapporto abbiamo consolidato ulteriormente i risultati e analizzato le serie storiche che ci permettono di dire che le imprese a capitale estero, sempre più radicate sul territorio e interconnesse con le comunità locali su cui insistono, si distinguono per la loro maggiore propensione a investire e a innovare, ma anche per la capacità di portare nel Paese una nuova cultura aziendale, con benefici diffusi”, ha affermato Marco Travaglia, Coordinatore dell’Osservatorio ABIE e Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo Nestlé in Italia.
     
    L’Advisory Board Investitori Esteri (ABIE) è il gruppo tecnico di Confindustria in cui siedono i vertici delle più importanti aziende internazionali con una sede in Italia e ha tra i suoi obiettivi la valorizzazione del ruolo che le imprese a capitale estero svolgono per il nostro paese, ponendo l’accento sulla connessione esistente tra investitori esteri e mondo imprenditoriale italiano. L’ABIE, inoltre, svolge un ruolo di supporto dei policy maker e degli operatori delle strutture tecniche fornendo indicazioni sui fattori che possono contribuire alla promozione dell’Italia come primaria destinazione di business.
     

  • CONGIUNTURA FLASH CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA –  Aprile 2023

    CONGIUNTURA FLASH CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA – Aprile 2023

     

    Venti favorevoli sulla rotta dell’economia italiana nella prima parte del 2023

    Meglio del previsto il PIL. Il 1° trimestre ha visto una ripartenza del PIL sopra le attese (+0,5%) e questo porta la variazione acquisita per il 2023 a +0,8%.

    Ciò grazie a servizi e industria (sebbene quest’ultima solo grazie al trascinamento da dicembre scorso) che include le costruzioni.

    Bene l’export, anche se in un contesto internazionale meno favorevole.

    Il calo del prezzo del gas alimenta la fiducia in Italia, oltre a favorire la riduzione dell’inflazione, che però sarà lenta e continuerà a frenare i consumi.

     

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  • L’economia italiana tra rialzo dei tassi e inflazione alta – Rapporto di previsione CSC Marzo 2023

    L’economia italiana tra rialzo dei tassi e inflazione alta – Rapporto di previsione CSC Marzo 2023

     

    Vai al Rapporto integrale del Centro Studi Confindustria – 25 marzo 2023

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    INTRODUZIONE E SINTESI

    Prezzo dell’energia ribassato, inflazione ancora alta

    Il netto calo del prezzo del gas in Europa da fine 2022 è una notizia estremamente positiva per la nostra economia e per tutte quelle europee. Se l’inflazione scendesse istantaneamente, grazie a tale ribasso, lo scenario economico potrebbe considerarsi normalizzato. Ma nell’economia esistono talvolta dei lag nelle relazioni di causa ed effetto tra le diverse variabili.

    Uno dei ritardi principali, sebbene mutevole nella sua lunghezza per la continua evoluzione dei sistemi economici, è proprio quello relativo alla trasmissione delle variazioni nei prezzi internazionali dell’energia ai prezzi al consumo (Grafico A). Il gas sceso a circa 50 euro/mwh, dagli oltre 330 del picco giornaliero nel 2022, ha certamente agevolato la discesa dell’inflazione. Ma siamo solo all’inizio della moderazione dei prezzi al consumo, sia in Italia che nell’Eurozona, e il processo richiederà tempo.

    Grafico Gas in netto calo, ma inflazione ancora alta - Rapporto CSC primavera 2023

    Come la legna accesa continua ad ardere per un po’ anche se non viene più alimentata, l’inflazione resta alta per alcuni mesi anche quando viene meno la causa originaria della sua impennata. Solo nel 2024, secondo le previsioni di quasi tutte le maggiori istituzioni internazionali, l’inflazione totale tornerà più vicina alla soglia del +2% annuo, cui aspirano le banche centrali. Questo significa che in tutto il 2023 faremo ancora i conti con un’inflazione alta sebbene in rientro.

    Il problema è che il prezzo del gas è rimasto elevato per troppo tempo, alzando i costi delle imprese. Abbastanza a lungo da entrare nella definizione di altri prezzi: non solo le tariffe energetiche, ma anche quelle dei servizi di trasporto e, infine, i listini di vendita di numerosi beni industriali. Alcuni di questi prezzi sono inclusi nel calcolo della core inflation, misurata al netto di energia e alimentari. Perciò, questa misura dell’inflazione di fondo, sia in Italia, in Europa, che negli USA ha iniziato a salire, lentamente ma inesorabilmente. E questo processo continuerà ancora, almeno per l’anno in corso, tenendo alta l’inflazione totale anche se la componente energetica si va spegnendo.

    Se l’aumento dei prezzi al consumo entrasse pienamente nelle aspettative di medio termine degli agenti economici, tanto da innescare una spirale prezzi-salari, la durata del processo inflazionistico si allungherebbe ancora di più. Anzi, si rischierebbe di non vedere affatto una discesa dell’inflazione totale, neanche con il ritardo che oggi stiamo scontando. Tale rischio è molto contenuto in Italia e in Europa, meno negli USA.

     

    Tassi in rialzo, freno all’economia

    Proprio questo timore delle banche centrali, di un disancoramento delle aspettative sui prezzi rispetto alla soglia del +2% annuo, ha fatto proseguire il rialzo dei tassi di interesse della BCE. Che è già il più ampio e anche il più rapido dalla sua creazione nel 1999 (Grafico B). Finora i tassi nell’Eurozona sono saliti di +3,5 punti in appena 9 mesi. Per confronto, nella fase di rialzi BCE del 2005-2006 il tasso impiegò oltre 2 anni per salire di circa 3,0 punti. Intanto, le attese di inflazione a 12 mesi nell’Eurozona sono scese al +2,7% a febbraio scorso, non lontano dalla soglia di stabilità, da un picco di +7,5% ad agosto 2022. Le banche centrali occidentali hanno iniziato ad alzare i tassi quando l’energia era molto cara e stava infiammando l’inflazione (a luglio 2022 la BCE, qualche mese prima la FED) e stanno continuando ad alzarli anche ora che i prezzi di gas e petrolio sono rientrati.

    Grafico Quello in corso è il rialzo più ampio e veloce dei tassi BCE - Rapporto CSC primavera 2023

    È qui che entra in gioco il problema delle aspettative e della lentezza con cui scende l’inflazione. I banchieri centrali vogliono stroncare del tutto la fiamma, per evitare che si propaghi al fienile e così lo scenario economico deve fare i conti non solo con tassi così alti ma anche con la possibilità che i rialzi proseguano. Ma se il loro livello sale troppo nell’Eurozona, che è un’unione monetaria e non un paese federale, può determinare rischi maggiori che negli USA (frammentazione, instabilità finanziaria), anche oltre il freno posto alla crescita economica. Dopo le ultime decisioni della BCE, i rischi appaiono più bilanciati.

    Quando il lungo percorso di moderazione dell’inflazione sarà arrivato vicino all’obiettivo, le banche centrali avranno la possibilità di allentare un po’ la stretta. Le aspettative di inflazione sono in progressiva decelerazione e nello scenario di previsione si include un’inversione di rotta dei tassi verso la fine di quest’anno, senza rialzi ulteriori almeno in Europa fino ad allora (in linea con le attese dei mercati): ma il taglio è atteso significativo solo negli USA, molto meno nell’Eurozona. Quindi, la policy monetaria per l’Italia e gli altri paesi dell’area resterà restrittiva anche il prossimo anno.

    Questo aumento dei tassi di riferimento si riverbera, gradualmente, sul canale del credito: che diventa più caro e meno accessibile. In tal modo la stretta monetaria frenerà gli investimenti delle imprese e i consumi delle famiglie. L’impatto in Italia è stimato dispiegarsi pienamente con un ritardo di circa un anno, secondo stime del Centro Studi Confindustria presentate in un Focus di questo rapporto: un ritardo simile a quello che ci si aspetta per l’Eurozona. Dato che il rialzo BCE è stato avviato a metà del 2022, il freno alla crescita morderà sul PIL italiano soprattutto nella seconda metà di quest’anno.

    I tassi pagati dalle imprese italiane hanno già subito un forte aumento: +2,60 punti fino a inizio 2023, in media. E il costo del credito sembra destinato a salire ancora, sulla scia degli ultimi rialzi della BCE. Ciò peggiora la situazione finanziaria delle aziende, perché (a parità di indebitamento) accresce il peso degli oneri finanziari e scoraggia i progetti di nuovi investimenti. Lo stesso avviene per le famiglie e gli interessi sui mutui variabili.

     

    Scenario internazionale complicato quest’anno

    Nel 2023 lo scenario internazionale è atteso beneficiare di un allentamento di alcune tensioni che hanno caratterizzato il 2022: dai rincari dei prezzi, soprattutto energetici, alle pressioni sulle catene di fornitura. Se dal lato dell’offerta i vincoli appaiono quindi meno stringenti, la domanda mondiale è vista in indebolimento: a causa dei rallentamenti che riguarderanno i paesi avanzati colpiti dall’inflazione e dalla politica monetaria restrittiva, paesi che nell’ultimo biennio hanno sostenuto la crescita del commercio mondiale, mentre i paesi emergenti hanno complessivamente rallentato. Per il 2023 è atteso quindi un cambio nel baricentro della crescita degli scambi mondiali, perché riprenderanno maggiore dinamicità quelli degli emergenti. Dopo un 2023 atteso difficile, l’economia USA e quella dell’Eurozona riprenderanno slancio nel 2024. Gli emergenti, in aggregato, faranno meglio in entrambi gli anni, ma questa non è una novità. La Cina, dopo il rallentamento dello scorso anno legato alle politiche zero-Covid, sta ripartendo molto velocemente. L’impatto economico sulla Russia dopo il varo delle sanzioni si vede, ma non è dirompente come immaginato. Incorporando queste dinamiche, il commercio mondiale è atteso soffrire quest’anno e ripartire il prossimo, con un ritmo intorno a quello storico pre-crisi (Tabella A).

    Tabella Le esogene internazionali della previsione - Rapporto CSC primavera 2023

    Lo scenario delineato dal CSC esclude nuovi significativi impatti economici della pandemia in Italia e nel Mondo e assume che le conseguenze economiche della guerra in Ucraina siano già state scontate da famiglie, imprese e mercati finanziari.

    Tra i rischi, oltre a quelli connessi alla corretta calibrazione della politica monetaria, c’è la possibilità di un aumento dell’instabilità finanziaria che può coinvolgere, come emerso di recente, la solidità delle banche a livello internazionale (dopo gli episodi negli USA e in Svizzera) e i mercati immobiliari che potrebbero risentire più del previsto dell’aumento dei tassi, come ci ricorda la crisi dei mutui subprime del 2008.

     

    Italia: crescita modesta

    Secondo le previsioni del CSC (Tabella B), l’andamento del PIL italiano nel 2023 (+0,4%) è in netto rallentamento rispetto alla media del 2022. Ma è più favorevole di quanto ipotizzato appena qualche mese fa, quando si prevedeva una variazione annua nulla dell’economia italiana. Nel 2024, invece, grazie al rientro dell’inflazione, alla politica monetaria meno restrittiva e alla schiarita nel contesto internazionale, si registrerà una dinamica migliore anche in Italia (+1,2% annuo).

    Tabella Le previsioni per l’Italia - Rapporto CSC primavera 2023

    La revisione al rialzo per il 2023 rispetto allo scenario CSC di ottobre scorso (di +0,4 punti), è spiegata interamente dall’andamento migliore delle attese nella seconda metà del 2022, nonostante lo shock energetico: ciò ha alzato l’eredità positiva lasciata al PIL del nuovo anno. In particolare, nel 4° trimestre 2022 l’Italia ha limitato al minimo l’aggiustamento al ribasso.

    Il sentiero del PIL, però, non è rettilineo: si stima che l’economia italiana abbia subito ancora una lieve contrazione nel 1° trimestre 2023, a causa soprattutto degli effetti ritardati dell’inflazione sui consumi e di una pausa degli investimenti dopo il balzo a fine 2022. Dalla seconda metà del 2023, l’attenuazione delle pressioni inflazionistiche e una limatura ai tassi di interesse dovrebbero favorire una dinamica positiva del PIL fino alla fine del 2024. Un profilo di crescita moderato, ma superiore, di poco, alla media pre-crisi grazie ai primi effetti positivi di investimenti e riforme del PNRR sul potenziale di espansione della nostra economia.

     

    Consumi e investimenti rallentati nel 2023…

    I consumi delle famiglie italiane rimarranno quasi fermi in media nel 2023 (+0,2%), al di sotto del trascinamento ereditato grazie alla buona dinamica nella parte centrale del 2022. Anno in cui il reddito disponibile reale ha limitato i danni, nonostante il balzo dell’inflazione (si veda il Focus 1) ed è stato utilizzato gran parte dell’extra-risparmio spendibile, lasciando poche risorse al 2023. Quest’anno, inoltre, i tassi più alti per mutui casa e credito al consumo giocheranno contro la spesa per beni e servizi. Solo in seguito, sulla scia della lenta discesa dell’inflazione e, quindi, di un recupero del reddito reale, i consumi torneranno a crescere, dalla seconda metà del 2023 e, con più slancio, nel 2024.

    Anche gli investimenti totali sono previsti crescere poco nella media del 2023. I motivi sono il ripiegamento delle agevolazioni fiscali in campo edilizio e l’impatto delle condizioni di finanziamento più stringenti. Il dato annuo nasconde, come per i consumi, un avvio molto debole del 2023 e una successiva ripresa, che poi proseguirà più speditamente nel corso del 2024. Ma i ritmi resteranno molto sotto la grande vivacità registrata nel 2022, legata proprio al boom degli investimenti in costruzioni.

     

    … così come export e import

    Nello scenario CSC, sia le esportazioni italiane di beni e servizi che le importazioni, dopo la forte espansione nel 2022, non sfuggiranno al generale rallentamento nel 2023. Che è dovuto, per i flussi con l’estero, soprattutto all’indebolimento del contesto internazionale. E il 2024 andrà solo poco meglio, tornando sui ritmi medi di crescita del periodo pre-Covid.

    I motivi della straordinaria performance dell’export italiano lo scorso anno, nonostante lo shock energetico, nettamente migliore di quella di partner europei come Germania e Francia, sono analizzati nel Focus 4 di questo Rapporto: base manifatturiera rafforzata, ampia diversificazione nei prodotti e lungo le filiere di produzione, miglioramento competitivo nei costi e nella composizione qualitativa.

    Questa forza dell’export aiuta a spiegare, in generale, la grande resilienza mostrata dall’industria italiana nell’annus horribilis sul fronte dei costi che è stato il 2022. Ma ha inciso anche la solidità mostrata dalle PMI, qui analizzata nel Focus 6, e la tenuta dei margini in alcuni settori della manifattura che ha reso possibile alimentare produzione e investimenti (stimati a livello settoriale nel Focus 5). Particolare attenzione occorrerà prestare alla perdita di competitività cui sono esposti i settori energy intensive che, più di altri, hanno contribuito alla riduzione dei consumi di energia lo scorso anno contraendo la produzione (si veda il Focus 2). I prezzi dell’energia, sebbene decisamente più bassi dello scorso anno, rimangono storicamente elevati e più alti di quelli registrati in molte economie fuori dall’Europa.

    L’occupazione in Italia ha beneficiato nel 2022 di tale solidità dell’economia, crescendo molto, quasi come il PIL nella media dell’anno, pur con ampie differenze tra settori in termini di intensità di lavoro. Ed è attesa restare agganciata al ritmo di crescita dell’attività economica anche nel 2023 (+0,4%), ma rimanere un po’ sotto l’anno prossimo (+0,8%), quando si prevede comincino a manifestarsi nel sistema produttivo gli efficientamenti conseguenti all’attuazione del PNRR.

    La maggiore spesa per interessi, dovuta ai rialzi dei tassi, peggiora anche i conti pubblici italiani. Anzitutto il deficit, che si assesta al 7,9% nel 2023 e poi cala a 5,0% nel 2024. Il deficit, peraltro, è ora stimato più ampio fin dal 2021 a seguito della recente revisione contabile relativa agli incentivi per il settore edilizio. I tassi più alti e il debito pubblico in aumento (fino al 147,9% del PIL nel 2024), restringono gli spazi di manovra sul 2024, anche perché torneranno ad operare i vincoli del Patto di Stabilità e Crescita.

     

     

  • CONGIUNTURA FLASH CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA – 18 febbraio 2023

    CONGIUNTURA FLASH CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA – 18 febbraio 2023

     

    L’economia italiana si avvia ad evitare la recessione anche nel 1° trimestre del 2023.
     
    Nelle previsioni dei diversi analisti per il 2023, il PIL italiano va meglio dell’atteso.

    Il prezzo dell’energia è sceso, quello dei metalli risale, ma c’è meno inflazione e quindi si intravede la svolta per i tassi.
     
    L’Italia si dimostra molto resiliente, con l’industria che migliora, anche se non le costruzioni, e i servizi in crescita.
     
    Tengono i consumi delle famiglie, gli investimenti sono in ripresa, ci sono più occupati ma anche più scarsità di manodopera.
     
    L’export è in frenata, tra un’Eurozona con una ripresa diseguale e gli USA in cui la crescita è senza industria.

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  • CONGIUNTURA FLASH CONFINDUSTRIA – 23 GENNAIO 2023

    CONGIUNTURA FLASH CONFINDUSTRIA – 23 GENNAIO 2023

     

    Prezzi dell’energia in calo, inflazione ancora alta, tassi in forte rialzo.

    Tra luci e ombre, l’economia italiana va meglio dell’atteso. Industria in flessione, costruzioni in difficoltà, ma servizi stabili.

    Tengono il reddito totale delle famiglie e i consumi, regge il mercato del lavoro.

    Export incerto: nell’Eurozona più ottimismo, segnali misti negli USA, mentre in Cina diverse ombre si addensano sulla crescita.

     

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  • CONGIUNTURA FLASH CONFINDUSTRIA – 17 DICEMBRE 2022

    CONGIUNTURA FLASH CONFINDUSTRIA – 17 DICEMBRE 2022

     

    Cresce il rischio di stagnazione a fine 2022: il prezzo del gas è di nuovo in rialzo e balzano i tassi di interesse.

    L’industria accusa il colpo, le costruzioni sono in calo, ma reggono i servizi e gli occupati totali continuano a crescere.

    Extra-risparmio accumulato: verrà speso solo in piccola parte per sostenere i consumi.

    L’export italiano è altalenante, tra la flessione dell’industria nell’Eurozona e la crescita lenta negli USA.

     

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