
Prosegue il calo della produzione industriale a febbraio (-0,3%) dopo quello di gennaio (-0,8%) e di dicembre (-1,0%), pur inglobando solo in minima parte gli effetti dello scontro tra Russia e Ucraina.
Il conflitto sta accrescendo le difficoltà di approvvigionamento delle imprese e spingendo ulteriormente al rialzo i prezzi di materie prime ed energia.
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La produzione industriale italiana è stimata in forte caduta a gennaio, -1,3%, dopo -0,7% a dicembre.
La contrazione è dovuta al caro-energia (elettricità +450% a dicembre 2021 su gennaio 2021) e al rincaro delle altre commodity che comprimono i margini delle imprese e, in diversi casi, stanno rendendo non più conveniente produrre.
A questo si sommano le persistenti strozzature lungo le catene globali del valore. Tale dinamica mette a serio rischio il percorso di risalita del PIL avviato lo scorso anno.

La risalita del PIL italiano a inizio 2022 è a forte rischio e il balzo dell’inflazione sarà transitorio solo se si raffredderà l’energia.
Il rincaro dell’energia colpisce l’industria italiana, la cui produzione è attesa in flessione, e gli elevati contagi frenano i consumi di servizi, che tornano a scendere.
Sul fronte degli investimenti diventano pessimiste le attese delle imprese, mentre il credito resta stabile e l’occupazione in recupero fino a novembre.
Export italiano tra luci e ombre: nell’Eurozona si diffondono sfiducia e timore, prosegue la frenata negli USA, mentre gli emergenti vanno avanti piano.
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L’aumento dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali è ampio e diffuso: petrolio +13% a dicembre 2021 su fine 2019, rame +57%, cotone +58%. A questo aumento, di recente, si è aggiunta l’enorme impennata del gas naturale in Europa (+723%).
In Italia, il balzo del gas si è trasferito sul prezzo dell’energia elettrica facendo lievitare i costi energetici delle imprese industriali: 37 miliardi previsti nel 2022, da 8 nel 2019. Un livello insostenibile che minaccia la chiusura di molte aziende.
Il forte aumento dei costi per le imprese italiane si è tradotto in una brusca compressione dei margini operativi, data la difficoltà di trasferire ai clienti i rincari delle commodity: soffrono soprattutto i settori più a valle e quelli energivori.
I rincari, per adesso, sono stati assorbiti nei margini e per questo l’inflazione in Italia, seppure sia in crescita (+3,9% annuo), è più bassa che altrove e, al netto di energia e alimentari, resta moderata (+1,4%).
Molte imprese stanno però programmando periodi di chiusura temporanea perché, con questi rincari energetici, non è più conveniente produrre.
Secondo il Centro Studi, è possibile agire su diversi fronti:
1 — intervenire sulle componenti fiscali e parafiscali della bolletta elettrica e del gas
2 — aumentare la produzione nazionale di gas e riequilibrare gli approvvigionamenti esteri
3 — riformare il mercato elettrico.
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Crescono i rischi lungo il sentiero scivoloso di risalita del PIL italiano: per l’industria pesa il caro-energia, per i servizi i nuovi contagi.
Gli occupati dipendenti sono tornati ai livelli pre-crisi, i consumi sono alimentati dall’extra-risparmio accumulato, l’export è ripartito, ma c’è più incertezza sugli investimenti.
L’inflazione è molto eterogenea nelle diverse economie, perciò la FED in America ha già accelerato sull’uscita dalle misure espansive, preludio al rialzo dei tassi, ma non la BCE in Europa.
Lo scenario è diventato incerto per l’Eurozona, mentre gli USA sono in indebolimento.
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della Congiuntura Flash del Centro Studi Confindustria

Il Rapporto del Centro Studi Scenari industriali “La manifattura al tempo della pandemia. La ripresa e le sue incognite” è stato presentato a Roma il 20 novembre 2021
Quali sono le trasformazioni che già prima dell’irrompere della pandemia stavano investendo la manifattura mondiale? In che modo l’avvento della pandemia sta modificando la sua logica di sviluppo? Come si muove la manifattura italiana nel nuovo contesto?
Si apre una fase piena di incognite, in cui tuttavia la manifattura mostra segni importanti di grande vitalità che è fondamentale non vengano dissipati a causa di un contesto in cui domina l’incertezza.
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Nel 3° trimestre del 2021 la produzione industriale italiana è cresciuta dell’1,0% rispetto al 2°, un ritmo più contenuto di quanto osservato nei primi due (rispettivamente +1,5% e +1,2% trimestrale).
Il 4° si sarebbe aperto in crescita (+0,2% in ottobre). In settembre si era rilevata una riduzione dell’attività dello 0,1% (dopo quella dello 0,2% riscontrata dall’ISTAT e dal CSC ad agosto).
Le ragioni del rallentamento tra luglio e settembre sono riconducibili a fattori limitativi della produzione, quali la scarsità di alcune componenti e materie prime, al maggior ricorso alle scorte di magazzino, al rallentamento produttivo dei principali partner commerciali e al maggior grado di incertezza.
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Il Rapporto del Centro Studi “Quale economia italiana all’uscita dalla crisi?” presentato il 16 ottobre 2021 evidenzia come la risalita del PIL italiano sia più forte delle attese: si prevede un +6,1% nel 2021, 2 punti in più rispetto alle stime di aprile, seguito da un ulteriore +4,1% nel 2022.
Questa robusta ripartenza del PIL, pari a oltre +10% nel biennio, dopo il quasi -9% del 2020, riporterebbe la nostra economia sopra i livelli pre-crisi nella prima metà del 2022, in anticipo rispetto alle attese iniziali.
Sebbene il recupero stia procedendo più spedito che altrove, il gap rispetto al pre-pandemia è, al momento, ancora più ampio di quello degli altri principali partner perché la caduta del 2020 in Italia è stata maggiore.
Sintesi Stampa Rapporto CSC di ottobre 2021

Continua spedito il recupero dell’economia italiana nel 2021, anche se i contagi e la scarsità di alcune commodity restano fattori di incertezza.
I consumi delle famiglie sono in forte risalita, mentre l’industria sta cedendo il passo ai servizi nel trascinare al rialzo il PIL italiano.
L’occupazione è in recupero, sulla scia della ripresa economica. L’inflazione è salita anche in Italia, ma quasi solo per il rincaro dell’energia.
L’export italiano resta in salute, ma le attese sono più incerte, perché rallenta l’Eurozona e anche negli USA le prospettive sono meno solide.
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