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Categoria: Centro Studi Confindustria

  • SCENARI INDUSTRIALI CSC |  28 NOVEMBRE 2020

    SCENARI INDUSTRIALI CSC | 28 NOVEMBRE 2020

     

    MANIFATTURA MONDIALE COLPITA DALLO SHOCK PANDEMICO
    ITALIA FA BENE E RESISTE, AL SETTIMO POSTO NEL MONDO. TERZI IN UE PER SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE

     

    La manifattura mondiale è tuttora sotto lo scacco della pandemia, dopo aver subito un forte shock che seguiterà a condizionarne i comportamenti per un tempo ancora indeterminato. E questo dopo aver registrato il più basso tasso di espansione dell’attività industriale dell’ultimo decennio e in una fase di contrazione degli scambi mondiali e degli investimenti diretti esteri. La crescita annua del valore aggiunto manifatturiero reale a livello mondiale è stata pari all’1,8% nel 2019, in decelerazione per il secondo anno consecutivo, e su un livello molto prossimo a quello registrato nel 2008, ossia all’alba dello scoppio della Grande Recessione. Secondo le attese, nessuna tra le principali aree industrializzate del pianeta sarà in grado di evitare nel 2020 una forte contrazione del valore aggiunto, ad eccezione della Cina, che registrerà una moderata espansione (+2,1%, il tasso comunque più basso da oltre tre decenni). Il 2020 dovrebbe chiudersi con una crescita negativa del 5,1%, non lontana da quella registrata nel 2009 (-6,0%). 

    Negli anni a venire l’architettura internazionale della produzione subirà cambiamenti importanti, che comporteranno una ridislocazione dei flussi commerciali e di investimento. In prospettiva la “soluzione del problema produttivo” è destinata ad assumere contemporaneamente forme differenziate, tra cui la possibile re-importazione (re-shoring) di fasi produttive già affidate a fornitori esteri o una loro ridislocazione a scala continentale (near-shoring).

     

    La manifattura italiana

    L’Italia compare ormai stabilmente al settimo posto della graduatoria mondiale dei principali produttori manifatturieri, con una quota del 2,2%, davanti alla Francia (1,9%) e al Regno Unito (1,8). E compare tra gli esportatori mondiali con la performance migliore: secondo il trade performance index elaborato da wto e unctad il nostro Paese occupa le prime tre posizioni al mondo in otto raggruppamenti settoriali su dodici, subito dietro la Germania.

    L’impatto della pandemia sui livelli di attività della manifattura italiana è stato immediato e violento. Nei due mesi di lockdown (marzo e aprile) la produzione è diminuita mediamente di oltre il 40%, anche se con un profilo fortemente disomogeneo a livello settoriale (dal -92,8% della produzione di prodotti in pelle al -5,5% del farmaceutico). Il recupero dei livelli produttivi da maggio è stato pressoché istantaneo, così che nel giro di quattro mesi il livello di produzione è tornato intorno ai valori di gennaio con un incremento del 76% rispetto al minimo toccato in aprile. Ma le prospettive per i mesi autunnali sono tornate negative, in linea con l’aumento dei contagi a livello globale e con l’introduzione di nuove misure restrittive.

    Il rallentamento produttivo dell’Italia non costituisce una anomalia nel confronto internazionale. Rispetto alle altre grandi economie europee l’Italia mostra anzi una contrazione dei tassi di crescita relativamente contenuta, oltre che una maggiore reattività allo shock pandemico.

    Il deficit di crescita è però ormai strutturale. Agisce su di esso – oltre a una incertezza divenuta ormai permanente – la graduale erosione della domanda interna, che limita la possibilità per i produttori nazionali di trovare spazio sul mercato domestico. Spicca in questo ambito il crollo della componente pubblica degli investimenti (in costante flessione dal 2011), mentre la componente privata si è risollevata, anche grazie agli effetti positivi del Piano “Industria 4.0. A partire dal 2014 si è avuta una fase di ripresa dei flussi di investimento, che ha riguardato i soli investimenti privati, arrivata fino al 2018 (tra 2014 e 2018 si registra una variazione positiva di quasi il 13%; ma il livello raggiunto è inferiore di quasi 20 punti percentuali rispetto al picco del 2007).

    Il progressivo assottigliarsi dei livelli di attività non poteva essere senza conseguenze sulle dimensioni stesse dell’apparato produttivo. Una stima prudenziale della variazione cumulata del saldo per i soli anni 2017-2020 indica una contrazione del numero delle imprese superiore alle 32mila unità. Il numero delle entrate di nuove imprese sul mercato è divenuto di gran lunga inferiore a quello delle uscite, ovvero i processi di formazione di nuove imprese non sono più in grado – diversamente dal passato – di garantire l’espansione della base produttiva.

    Al processo di selezione non ha corrisposto una riallocazione delle risorse verso le imprese rimaste: le imprese uscite dal mercato hanno portato fuori dall’economia le risorse e le competenze di cui disponevano, riducendo il livello del potenziale produttivo e aprendo vuoti all’interno dei territori (specie meridionali) in cui operavano.

    Dal punto di vista dell’occupazione la drammatica caduta dell’output manifatturiero è stata quasi interamente assorbita dalla riduzione del monte-ore lavorate (-23%), a fronte della sostanziale tenuta del numero degli occupati complessivi (-0,6%). Hanno fatto da cuscinetto un’ampia gamma di forme di riduzione dell’orario, lo smaltimento delle ferie e l’utilizzo di congedi, il ricorso rapido e massiccio a strumenti di integrazione al reddito da lavoro (in primis la cig in deroga). Ma, naturalmente, ha contato fin qui anche il blocco dei licenziamenti (anche nel confronto internazionale). Sta cambiando la struttura dell’occupazione: flette al Centro-Sud (mentre mostra qualche segno di recupero al Nord); risultano in calo le donne, i lavoratori al di sotto dei 35 anni e la componente autonoma dell’occupazione.

    L’uscita dalla pandemia coinciderà con cambiamenti importanti negli stessi driver dello sviluppo, nell’ambito dei quali un ruolo importante sarà svolto dalla transizione green. L’industria italiana affronta la sfida della sostenibilità ambientale potendo contare su un vantaggio strategico da first mover rispetto a molti dei suoi partner internazionali, avendo già da tempo introdotto un approccio “responsabile” alla produzione e al consumo di risorse. Presenta infatti un ridotto impatto in termini di rifiuti solidi prodotti, grazie ad un approccio circolare rispetto all’utilizzo delle risorse (grazie alle attività di riciclo e recupero è stato infatti possibile re-immettere nel sistema economico l’83% circa dei rifiuti speciali prodotti in Italia, contro l’81% registrato in Germania, il 71% in Francia, il 60% del Regno Unito e una media UE del 53%) e un ridotto impatto in termini di emissioni di gas serra prodotti dalle attività di trasformazione. Infatti, secondo le stime del Centro Studi Confindustria, la manifattura italiana si colloca al quarto posto tra le principali economie globali, al terzo nella UE, per minor intensità di CO2 (CO2 in rapporto al valore aggiunto), su livelli equivalenti a quelli registrati dalla manifattura tedesca. Rispetto alla media UE, l’intensità delle emissioni di CO2 della manifattura italiana è inferiore del 31%. La bassa impronta di carbonio della manifattura italiana nel confronto internazionale è spiegata soprattutto da livelli di efficienza ambientale dei processi industriali tra i più elevati al mondo.

     

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  • CONGIUNTURA FLASH DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA |  21 novembre 2020

    CONGIUNTURA FLASH DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA | 21 novembre 2020

     

    L’Italia è a rischio di una nuova caduta in recessione a fine 2020: peggiorano soprattutto i servizi, ma anche nell’industria si è arrestata la risalita.

    La domanda interna è fragile, l’occupazione si è già fermata, le imprese hanno più debito, solo l’export era in risalita, ma la pandemia minaccia il secondo stop agli scambi mondiali.

    I tassi di interesse restano stabili in un’Eurozona che frena, mentre il petrolio risale nonostante gli USA sotto ritmo, e la crescita del Brasile sorprende.

     

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  • INDAGINE RAPIDA DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA |  30 ottobre 2020

    INDAGINE RAPIDA DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA | 30 ottobre 2020

     

    Si interrompe la crescita dell’attività industriale in settembre (-3,2%), si stabilizza in ottobre (+0,4%). Le prospettive, però, sono tornate negative.

    La produzione industriale italiana registra il primo stop in settembre, dopo quattro mesi di crescita robusta.

    Nel terzo trimestre si rileva un rimbalzo del 29,5% rispetto al secondo, mentre il quarto potrebbe segnare una nuova caduta dell’attività in conseguenza del peggioramento del contesto economico generale a causa della recrudescenza dei contagi da Covid-19.

    Le indagini condotte in ottobre mostrano sia tra gli imprenditori manifatturieri che tra le famiglie una crescente preoccupazione sulle prospettive economiche nei prossimi mesi.

     

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  • UN CAMBIO DI PARADIGMA PER L’ECONOMIA ITALIANA | RAPPORTO DI PREVISIONE DEL CSC – AUTUNNO 2020

    UN CAMBIO DI PARADIGMA PER L’ECONOMIA ITALIANA | RAPPORTO DI PREVISIONE DEL CSC – AUTUNNO 2020

     

    La difficile risalita dopo il crollo

    Il CSC stima un profondo calo del PIL italiano del -10% nel 2020 e un recupero parziale del +4,8% nel 2021 (Tabella A). La contrazione del PIL di quest’anno porta i livelli indietro a quelli di 23 anni fa. L’impatto della crisi sanitaria è stato leggermente più negativo di quello atteso alcuni mesi fa, portando a una lieve revisione al ribasso delle stime rispetto allo scenario delineato dal CSC a maggio.

    La “tempesta perfetta”, causata in marzo-aprile da un doppio shock di domanda e offerta, indotto dal blocco normativo delle attività in numerosi settori dell’industria e dei servizi, e dalle limitazioni agli spostamenti delle persone con l’obiettivo di contenere la diffusione del virus, ha prodotto effetti dirompenti sull’economia italiana: il PIL è diminuito complessivamente del 17,8% nel primo e secondo trimestre. Le misure ingenti varate dal Governo durante i primi mesi dell’emergenza hanno fornito liquidità a famiglie e imprese.

    Le conseguenze della pandemia sono state gravi soprattutto per l’industria, che ha risentito della cancellazione di ordini dal mercato interno ed estero, e per alcune attività terziarie (turismo, trasporti, attività ricettive e di ristorazione).

    La fine del lockdown, a inizio maggio, ha determinato un’importante risalita della domanda, che in molti settori si era sostanzialmente azzerata, e ha rilanciato l’attività nell’industria con incrementi rilevanti nel terzo trimestre, che tuttavia non hanno colmato la perdita dei primi due trimestri.

    Nei servizi, invece, il recupero è più lento. Nei mesi estivi, mentre altre attività ripartivano, la situazione dell’economia italiana è stata gravata dalla forte diminuzione dei flussi turistici, specie quelli stranieri. Da agosto il graduale aumento del numero di nuovi contagiati, benché più contenuto rispetto a quanto osservato in altri paesi europei, rappresenta una fonte di incertezza e di preoccupazione sulle prospettive future. Questi fattori spiegano la debolezza attesa per il PIL nel quarto trimestre del 2020, dopo il rimbalzo nel terzo.

    Il recupero del PIL dovrebbe proseguire in modo graduale dal primo trimestre del 2021, a condizione che la diffusione del COVID-19 sia contenuta in maniera efficace. Un impulso importante alla ripresa, nel corso del prossimo anno, potrebbe essere rappresentato dagli effetti positivi derivanti dalle misure di sostegno all’economia già approvate a livello europeo (non incluse nello scenario previsivo del CSC, così come la prossima manovra di bilancio). Con il Recovery Plan affluirebbero gradualmente per essere investite in Italia risorse aggiuntive, a partire dal 2021. Queste si affiancherebbero agli interventi di politica economica varati nei paesi colpiti dall’emergenza COVID-19, con un effetto positivo sulla congiuntura internazionale.

    Tuttavia, il rimbalzo del PIL italiano nel 2021 compenserà solo parzialmente il crollo di quest’anno: nel quarto trimestre del prossimo anno il livello del reddito sarà ancora inferiore di oltre il 3% rispetto a fine 2019. E molto lontano dai massimi di inizio 2008, di circa otto punti percentuali.

    I drammatici cali dei livelli di attività in Italia hanno avuto un pesante riflesso sull’input di lavoro impiegato, che in termini di monte ore lavorate è diminuito del 15,1% annuo nella media dei primi due trimestri del 2020: la maggior parte dell’aggiustamento è avvenuto tramite un calo di ore lavorate pro-capite (-13,5%), mentre il numero di persone occupate è sceso solo dell’1,5%. Questo è dovuto al ricorso imponente a strumenti di integrazione del reddito da lavoro, in primis la Cassa Integrazione Guadagni, che il Governo ha messo a disposizione in deroga.

    In media d’anno, tuttavia, nel 2020 le unità di lavoro equivalenti a tempo pieno (ULA) registreranno un -10,2%, pari a un calo di 2 milioni e 452mila unità. Il numero di persone occupate ha ricominciato a puntare verso l’alto contemporaneamente alla ripresa dell’attività (+170mila unità a luglio-agosto), ma nel resto dell’anno si prevede che questa tendenza non proseguirà, considerando un livello del PIL ancora depresso rispetto al pre-COVID-19. L’occupazione registrerà, quindi, un -1,8% in media nel 2020, pari a circa 410mila persone occupate in meno rispetto al 2019.

    Cruciale per l’anno prossimo saranno l’intensità e la velocità della ripresa del PIL. Con un recupero incompleto come quello qui previsto, la risalita della domanda di lavoro risulterà smorzata (+4,0% le ULA, meno del PIL). Il numero di persone occupate, dunque, si aggiusterà verso il basso: -1,0% nel 2021, pari a -230mila unità.

    Debole sia la domanda estera sia interna

    Nello scenario CSC le esportazioni italiane diminuiscono del 14,3% nel 2020 e risalgono del 11,3% nel 2021. L’export di beni migliora rispetto alle stime di maggio, con un calo del 10,0% e poi un recupero pieno. Quello di servizi, invece, è atteso crollare del 31,9% e poi registrare una forte ma incompleta risalita (Grafico A). Dopo il minimo toccato durante il lockdown, si sono registrati forti segnali di ripartenza a inizio estate. Le prospettive a breve-medio termine, tuttavia, restano deboli e incerte, soprattutto a causa dall’evoluzione globale della pandemia. Questa incertezza colpisce in particolare nel comparto dei servizi. Lo scenario CSC assume una dinamica positiva, seppure rallentata e disomogenea, degli scambi con l’estero nel resto dell’anno e nel 2021, soggetta a rischi al ribasso. L’apprezzamento dell’euro agirà da freno alle vendite italiane, riducendone la competitività di prezzo. La dinamica dell’export di beni sarà peggiore di quella degli scambi mondiali quest’anno, data la particolare debolezza dei suoi principali mercati di destinazione (Europa, Stati Uniti) e di alcuni settori in cui è specializzato (macchinari, tessile).Poi, nel 2021, risalirà più rapidamente rispetto alla ripartenza del commercio globale.

    I consumi delle famiglie italiane sono previsti diminuire dell’11,1% quest’anno, un tracollo senza precedenti, e poi recuperare solo del 5,9% nel 2021. Le preoccupazioni generate dalla diffusione del virus, dal suo impatto sul sistema economico e dall’incertezza su tempi e modi d’uscita dall’emergenza, hanno portato a un forte incremento della propensione al risparmio. Le famiglie, infatti, hanno rinviato molte decisioni di consumo e modificato le proprie scelte a favore delle spese essenziali. In questa fase, il potere d’acquisto è stato sostenuto dagli interventi pubblici a supporto del reddito e dell’occupazione. Nel 2021, a favore della spesa delle famiglie agirà il rimbalzo previsto del reddito disponibile. Inoltre, la risalita attesa della fiducia dei consumatori, condizionata all’efficace contenimento dei contagi, determinerà un importante stimolo per la domanda privata, che rimarrà comunque molto sotto i valori pre-COVID-19.

    L’impatto della pandemia è stato ancor più devastante per gli investimenti che sono previsti diminuire del 15,8% nel 2020. La forte caduta della domanda già da febbraio, la cancellazione di ordini e il peggioramento delle attese hanno costretto le imprese a rinviare molte scelte di investimento. Nel 2021 è atteso un rimbalzo robusto, ma comunque incompleto (+9,7%). In particolare, la risalita della spesa in macchinari sarà guidata dal miglioramento del contesto internazionale, che spingerà a una maggiore domanda e sosterrà la fiducia degli imprenditori. In senso contrario potrebbe agire una nuova frenata del credito, se non si riuscirà a gestire adeguatamente il prevedibile aumento dei crediti bancari problematici a causa della recessione.

    Negli ultimi mesi il credito è tornato ad aumentare in Italia, ma solo per la provvista di liquidità. Lo stock di prestiti bancari alle imprese è in crescita da marzo, con una progressiva accelerazione (+4,4% annuo a luglio, +14,0% circa stimato entro fine anno). Questo incremento è alimentato in maniera determinante dalle nuove garanzie pubbliche per il credito, varate dal Governo per fronteggiare la carenza di liquidità nel sistema delle imprese generata dal lockdown. Le imprese italiane stanno ottenendo i prestiti bancari richiesti per finanziare le scorte, il capitale circolante e anche la ristrutturazione del debito. Questo aiuta molto nel breve termine, ma con il calo previsto per gli investimenti di per sé non alimenta la crescita. E finisce per pesare sul debito bancario delle imprese, quindi sulla solidità dei bilanci. La quota del debito bancario sul passivo totale salirà da 16,5% a 18,4% nel 2020 (stime CSC), annullando parte del de-leveraging dell’ultimo decennio.

    Per la ripartenza dell’Italia è cruciale che sia preservata una condizione di stabilità sui mercati finanziari, specie quelli dei titoli sovrani. Negli ultimi mesi, i rendimenti sovrani italiani sono tornati ai minimi storici, dopo la fiammata all’inizio dell’epidemia. Sono stati frenati dal deciso e tempestivo intervento della BCE, che con il Quantitative Easing di emergenza ha comprato più titoli italiani di quanto avrebbe dovuto in base alle quote dei singoli paesi membri dell’Eurozona. Nello scenario CSC, in base all’ipotesi che la BCE resti iper-espansiva a lungo, si assume un rendimento del BTP decennale fermo ai livelli correnti. Ciò favorisce il credito all’economia italiana, evitando impatti sul settore bancario. E aiuta i conti pubblici italiani, che si giovano di una minore spesa per interessi.

    Policy per la crescita

    Dall’inizio degli anni Novanta a oggi, dopo ogni crisi negli ultimi 30 anni, l’Italia si è adagiata su ritmi di crescita man mano più modesti ed è l’unica grande economia in Europa a mostrare un profilo in tendenziale diminuzione: nei 30 anni tra 1991 e 2021 (stime della Commissione europea per il 2020-2021) il PIL italiano ha accumulato una distanza di 29 punti percentuali dalla Germania, 37 dalla Francia, 54 dalla Spagna. In termini di PIL pro-capite, con la crisi da COVID-19 l’Italia è tornata ai livelli di fine anni Ottanta.

    Negli ultimi decenni i tratti di fondo che hanno caratterizzato l’economia italiana sono stati la debole dinamica della produttività del lavoro, con l’industria a trainare e i servizi fermi, e il calo degli investimenti pubblici che dal 2009 sono diminuiti del 36% a prezzi costanti. Al contrario, negli ultimi anni si è registrato il recupero degli investimenti privati, in particolare gli investimenti in beni strumentali sostenuti dal Piano Industria 4.0.

    L’analisi condotta dal CSC con il Dipartimento delle Finanze del MEF mostra che i benefici fiscali per la spesa in attività innovative (iper-ammortamento) per il solo 2017, primo anno di applicazione, hanno interessato 10,2 miliardi di euro di investimenti, mentre la stima per il 2018 è di 15,2 miliardi. Gli investimenti in beni strumentali connessi alla trasformazione digitale hanno quindi registrato un incremento pari a quasi il 50%, con una crescita del peso di questa tipologia d’investimento rispetto al totale dei nuovi macchinari e attrezzature industriali acquistati dalle imprese italiane, dall’11,0% nel 2017 al 15,8% nel 2018. In entrambi gli anni le imprese beneficiarie sono state in prevalenza piccole e medie imprese. Di quelle che hanno beneficiato dell’iper-ammortamento nel 2017, la quasi totalità (84,7%) non aveva effettuato investimenti in tecnologie 4.0 prima del 2017; in particolare, un terzo erano imprese appartenenti proprio alla parte più digitalmente arretrata del sistema produttivo, quella che appariva in ritardo anche rispetto all’adozione di tecnologie ICT più tradizionali.

    Inoltre, si stima che gli investimenti agevolati in tecnologie 4.0 nel 2017 abbiano prodotto, tra gennaio 2017 e marzo 2019, una maggiore crescita occupazionale nelle imprese che ne hanno beneficiato, rispetto ad imprese simili che non ne hanno beneficiato, di circa 7 punti percentuali. L’aumento degli occupati ha riguardato soprattutto giovani, operai specializzati e i conduttori di impianti e macchinari, anche in imprese localizzate nel Mezzogiorno.

    Scomponendo la crescita del PIL dal lato dell’offerta, il problema principale è la flebile, a volte nulla o negativa, dinamica della produttività negli ultimi decenni, accompagnata anche da una riduzione delle ore lavorate dopo il 2007. La dinamica della produttività del lavoro è passata dal +1,2% annuo nel 1997-2001, al +0,6% nel 2004-2007, per finire a un modesto +0,1% nel 2015-2019. Se tra il 1996 e il 2019 l’Italia ha fatto registrare, in media, un aumento dello 0,3% della produttività del lavoro, questa è salita in Germania dello 0,7% annuo e in Francia e Spagna dello 0,8%. La dinamica è particolarmente preoccupante nei servizi dove l’Italia è l’unico Paese a registrare una decennale stagnazione, mentre negli altri la dinamica è stata positiva, anche se contenuta. E tra i servizi, la produttività in Italia ha avuto un andamento sfavorevole principalmente nelle attività professionali e scientifiche (che rilevano per i cosiddetti business services, un elemento di costo per la manifattura) e nelle amministrazioni pubbliche.

    Per risollevare l’economia italiana dopo decenni di bassa crescita è quindi necessario portare la dinamica del PIL almeno all’1,5%, il valore medio annuo registrato nei dieci anni precedenti la crisi globale. A tal fine servirà un incremento medio della produttività del lavoro di quasi un punto percentuale all’anno.

    Per ottenere un risultato di questo tipo serve intervenire in modo organico e con determinazione, a partire da una visione chiara dei nodi del mancato sviluppo italiano. Serve, appunto, un cambio di paradigma rispetto agli ultimi decenni, per accrescere strutturalmente il potenziale di crescita dell’economia italiana. Occorre rimuovere i colli di bottiglia che bloccano il Paese da molti anni intervenendo proprio laddove la crescita della produttività è bloccata.

    Innanzitutto, rivedendo le modalità con cui vengono tradotte in norme le decisioni pubbliche. Un processo che produce una frammentazione di norme, con regole spesso confuse e difficilmente implementabili da parte di imprese, cittadini e pubbliche amministrazioni. Un processo, inoltre, nel quale è spesso assente una seria valutazione ex-ante delle conseguenze attese della produzione normativa per imprese e cittadini. Occorre innalzare la qualità dei servizi pubblici e far sì che questi siano offerti in tempi certi e brevi. Coniugare più efficienza con la tutela dei diritti dei cittadini e della concorrenza non solo è possibile, ma è necessario. Gli output della Pubblica amministrazione rappresentano un input produttivo per tutti i settori economici, in Italia come nelle altre economie, e non è immaginabile un innalzamento della produttività del lavoro nell’economia italiana senza servizi pubblici all’avanguardia. Infine, occorre invertire la tendenza negativa degli investimenti pubblici, i quali da un lato influenzano la crescita come componente di domanda, e dall’altro, una volta realizzati, sono determinanti per la costruzione di capitale fisico, umano e di conoscenza in grado di aumentare la produttività. Occorre puntare sia su infrastrutture tradizionali, sia su più ricerca, digitalizzazione, formazione di capitale umano e sostenibilità ambientale per colmare i divari territoriali.

    Un’opportunità unica per programmare un futuro in cui la dinamica del PIL sia più elevata è offerta dagli strumenti introdotti a livello europeo per contrastare l’impatto economico dell’emergenza sanitaria. Oltre alla novità dello SURE e alla linea di credito del MES, trasformata rispetto al recente passato e che è indispensabile attivare per investire subito nella salute pubblica, con il Next-Generation EU la risposta è diventata consistente e senza precedenti. L’accordo raggiunto su Next-Generation EU (NG-EU), che auspichiamo si concretizzi presto, ha soprattutto un forte valore politico perché per la prima volta i Governi dei paesi membri dell’Unione hanno, nei fatti, dato vita a un sistema di trasferimenti di risorse verso gli stati che hanno subito maggiormente gli effetti della crisi. Questi strumenti, al contrario del Quadro Finanziario Pluriennale, sono dedicati a fronteggiare uno shock temporaneo. Per l’Italia, l’utilizzo degli strumenti europei, soprattutto il Dispositivo per la ripresa e la resilienza, costituisce un bivio cruciale: se si riusciranno a utilizzare in modo appropriato le risorse e a potenziarne l’effetto portando avanti riforme troppo a lungo rimaste ferme, allora si sarà imboccata la strada giusta per risalire la china. Altrimenti, l’Italia rimarrà un Paese in declino, che non sarà in grado di ripagare il suo enorme debito pubblico.

     

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  • INDAGINE RAPIDA DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA |  2 ottobre 2020

    INDAGINE RAPIDA DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA | 2 ottobre 2020

     

    Il rimbalzo dell’attività nel terzo trimestre (+26,4%) sostiene la crescita del PIL. Le prospettive sono meno rosee
     
    La produzione industriale italiana chiude con un forte rimbalzo il terzo trimestre 2020, dopo la profonda caduta registrata nei due precedenti.

    Il recupero dell’attività è proseguito in agosto (+1,5%) e, in misura minore, anche in settembre (+0,5%). L’incremento nei mesi estivi è spiegato principalmente dal sostegno della domanda interna, a fronte di una domanda estera che procede in maniera incerta.

    La fiducia degli imprenditori manifatturieri mostra qualche segnale positivo ma il peggioramento della crisi sanitaria (soprattutto all’estero) e i crescenti timori sulle prospettive di una soluzione in tempi brevi accentuano i rischi sul proseguimento della ripresa nei prossimi mesi.

     

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  • IL CORAGGIO DEL FUTURO |  La visione dell’Italia 2030-50 secondo Confindustria

    IL CORAGGIO DEL FUTURO | La visione dell’Italia 2030-50 secondo Confindustria

     

    “Il coraggio del futuro” è il titolo del volume presentato dal Presidente di Confindustria Carlo Bonomi in occasione dell’Assemblea annuale del 30 settembre 2020.

    Il volume ha l’obiettivo di delineare la visione del mondo imprenditoriale sull’Italia 2030-2050 e presentare tutte le proposte e le misure che Confindustria propone al Governo per il rilancio dell’economia.

    È un progetto che parte dalle grandi direttrici di trasformazione su scala globale − il cambiamento climatico, l’impatto delle tecnologie sul lavoro, i mutamenti della globalizzazione, le tendenze demografiche − e le interpreta in una chiave di progresso possibile e necessario per l’Italia.

    I cardini di riferimento sono due. Primo, la collocazione dell’Italia nell’Unione europea in una fase in cui, dopo molti tentennamenti e con tuttora venature di timidezza, l’Europa sembra decidersi a prendere in mano il suo destino. Secondo, la centralità dell’industria per le sorti del Paese.

    In questo contesto, gli industriali si pongono l’obiettivo di una transizione economica ed ecologica che riconduca l’Italia su un sentiero di sviluppo significativo e sostenibile e che conduca ad una crescita reale del PIL non inferiore a regime all’1,5 per cento medio annuo, con un aumento della produttività di un punto percentuale medio annuo.

    Il volume si articola in analisi e proposte che riguardano numerosi aspetti della nostra economia e società.

    Si affrontano i temi della qualità delle Istituzioni, delle regole e dei processi decisionali, quindi le precondizioni per realizzare un progetto di rilancio del Paese all’interno dell’UE e della comunità internazionale. Prevedibilità e certezza delle regole, attuazione tempestiva ed efficace delle decisioni sono ingredienti indispensabili per costruire una vera azione riformatrice, che riguardi anzitutto l’Europa e poi i singoli Paesi membri.

    Le analisi e le proposte riguardano in particolare l’innovazione digitale e la transizione energetica, il rafforzamento del sistema produttivo e del sostegno all’export, lo sviluppo finanziario, gli investimenti infrastrutturali, la coesione territoriale, l’organizzazione del lavoro e la formazione, la riforma del Welfare.

     

    In allegato la pubblicazione integrale e l’executive summary

     

  • CONGIUNTURA FLASH DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA |  11 settembre 2020

    CONGIUNTURA FLASH DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA | 11 settembre 2020

     

    Italia: rimbalzo parziale e tormentato nel 3° trimestre, con i servizi deboli e l’industria ancora sotto ritmo.

    Recupero lento della domanda interna ed export atteso in frenata, tiene l’occupazione, prestiti per liquidità in forte crescita e tassi di interesse ai livelli pre-Covid.

    Eurozona in ripresa tra luci e ombre, ancora incertezza su Brexit, USA ancora deboli ma emergenti in risalita, sugli scambi mondiali segnali contrastanti e petrolio di nuovo in calo.
     
     

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  • NOTA DEL CSC |  MAGGIORE OCCUPAZIONE IN ITALIA GRAZIE AGLI INVESTIMENTI AGEVOLATI IN TECNOLOGIE 4.0

    NOTA DEL CSC | MAGGIORE OCCUPAZIONE IN ITALIA GRAZIE AGLI INVESTIMENTI AGEVOLATI IN TECNOLOGIE 4.0

     

    • Il contributo pubblico all’acquisto di beni strumentali incorporanti tecnologie digitali avanzate è una delle principali leve di politica industriale con cui il Governo italiano, dal 2017, sostiene la trasformazione del sistema produttivo nazionale verso il paradigma tecnologico noto come Industria 4.0. Fino al 2019 l’agevolazione ha assunto la forma di iper-ammortamento a fini fiscali del valore dell’investimento effettuato, mentre da gennaio 2020 si è tramutata in credito d’imposta. Una recente ricerca del Centro Studi Confindustria e della Direzione Studi e Ricerche Economico Fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze ha analizzato l’utilizzo dell’iper-ammortamento nel suo primo anno di introduzione e i suoi effetti occupazionali per le imprese beneficiarie.
    • Si stima che la misura fiscale abbia interessato circa sette miliardi di euro di investimenti in macchinari e attrezzatture industriali avanzate realizzati da società di capitali italiane. Un ammontare considerevole, corrispondente all’8,5% degli investimenti privati medi annui in macchinari e attrezzature (esclusi autoveicoli) in Italia, il 16,0% se la quota è calcolata all’interno del manifatturiero.
    • L’iper-ammortamento sui beni materiali nel 2017 è stato utilizzato in prevalenza da imprese di piccola e media dimensione (a cui afferiscono il 66,7% degli investimenti agevolati), appartenenti al settore manifatturiero (82,6%), e localizzate nel Nord Italia. La stragrande maggioranza delle imprese beneficiarie della misura (84,7%) non aveva mai effettuato investimenti in tecnologie 4.0 prima dell’introduzione dell’agevolazione fiscale.
    • L’analisi dei flussi di assunzioni e cessazioni di lavoro dipendente per impresa indica che l’investimento agevolato nel 2017 ha prodotto un effetto occupazionale positivo tra gennaio 2017 e marzo 2019 (ultimo mese disponibile per l’analisi). La dinamica delle assunzioni nelle imprese beneficiarie dell’iper-ammortamento è stata infatti migliore di quella che si sarebbe presumibilmente registrata in assenza degli investimenti agevolati: +3 punti percentuali in media mensile. Di contro, la dinamica delle cessazioni non risulta, in media, essere stata influenzata dalla decisione d’investimento. In termini di dinamica occupazionale complessiva, si stima che l’investimento agevolato abbia generato, per le imprese che lo hanno effettuato, una crescita aggiuntiva dell’occupazione di 7 punti percentuali tra fine 2016 e marzo 2019.
    • L’effetto positivo sulle assunzioni si riscontra in tutte le classi dimensionali, dalle micro alle grandi imprese. L’impatto rispetto allo scenario senza investimenti in tecnologie digitali è particolarmente rilevante per queste ultime: +10,9 punti percentuali. A livello geografico, l’effetto si registra sia tra le imprese con sede nel Nord Italia sia per quelle del Meridione. Per queste ultime si stima l’effetto maggiore: + 4,0 punti percentuali.
    • A beneficiare delle maggiori assunzioni sono stati soprattutto i giovani (+2,6 p.p. tra quelli sotto i 35 anni) ma l’effetto occupazionale è positivo e significativo anche per i lavoratori più anziani, che hanno beneficiato sia di maggiori assunzioni (+1,3 p.p tra quelli sopra i 35 anni) sia di minori cessazioni di lavoro (-1,0 p.p.) rispetto a quanto si sarebbe verificato in assenza di investimenti in tecnologie 4.0.
    • La maggiore domanda di lavoro ha interessato tutti i livelli professionali, ma è stata particolarmente pronunciata per operai specializzati e conduttori d’impianti (+2,2 p.p. le assunzioni). Per le professioni ad alta qualifica l’effetto appare economicamente contenuto, in linea con quello stimato per le professioni non qualificate (+0,5 p.p.). Ciò dipende dallo scarso impiego di queste figure da parte delle imprese di piccola e media dimensione. Tra le grandi, invece, l’effetto degli investimenti 4.0 sulle loro assunzioni arriva a +8 punti percentuali.

     

     

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  • INDAGINE RAPIDA DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA |  31 luglio 2020

    INDAGINE RAPIDA DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA | 31 luglio 2020

     

    La produzione industriale ha continuato a recuperare, dopo il rimbalzo di maggio, anche in giugno e luglio. Nonostante il dato congiunturale positivo, la variazione rispetto a un anno prima resta ancora molto negativa (-13,9% in luglio).

    Nel secondo trimestre la produzione industriale è stimata in calo del 19,2% (-8,4% nel primo).

    La domanda interna resta debole mentre sul fronte estero in luglio vi sono alcuni tenui segnali di miglioramento. La caduta del PIL nel secondo trimestre (-12,4%) non ha precedenti nelle serie storiche disponibili. E’ spiegata per circa un terzo dal calo del valore aggiunto industriale mentre è stato forte il contributo negativo dei servizi che rappresentano una quota elevata del PIL.

     

    Vai alla Congiuntura Flash del 31 luglio 2020 eggi la nota sul nostro sito e usa questo link se vuoi pubblicare il contenuto sui tuoi canali media. https://bit.ly/3hXEVTp

  • CONGIUNTURA FLASH DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA |   24 luglio 2020

    CONGIUNTURA FLASH DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA | 24 luglio 2020

     

    In Italia, nonostante il rimbalzo, la risalita è incompleta e l’attività ancora compressa: la domanda interna è fredda, l’export in parziale risalita, il mercato del lavoro debole.

    L’Eurozona è in recupero, gli spread sovrani in calo anche grazie alla nascita del Recovery Fund.

    Molti mercati esteri sono ancora frenati dalla pandemia, il commercio mondiale resta difficile, con luci e ombre negli USA e la Cina in debole ripartenza.

     

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